Lo spazio per sé

Ci ritroviamo spesso travolti da un quotidiano esigente, da ritmi che fatichiamo a fare nostri, da una realtà della quale perdiamo il senso, da relazioni delle quali non vediamo più la bellezza. Sentiamo chiaramente come questo stato delle cose non ci appartenga come essere umani, che ci appensantisce e ci allontana dagli altri e dai noi stessi, dal nostro essere vivi, pieni.

Forse è per questo che, durante gli incontri di mediazione umanistica, affascina tanto l’atmosfera che si crea fatta di tempi personali e soprattutto di impagabili e riposanti silenzi.
Si ritrova in queste occasioni il contatto con quel tempo giusto che immediatamente riconosciamo, ci rimettiamo in contatto con l’essenziale, facciamo chiarezza nella confusione delle emozioni.

Il gruppo è il grande valore aggiunto alla costruzione di questa atmosfera attraverso la condivisione di esperienze di vita, il contatto e la vicinanza umana, la possibilità di creare sintonia e intimità attraverso i piccoli numeri, fuori dalla tentazione di ingolfarsi di ulteriori parole.
E’ l’occasione di recuperare il nostro centro, ascoltarci, andare al cuore.

La mediazione umanistica è un esercizio quotidiano, un modo di vivere, di essere: è la proposta di portare fuori dai contesti formativi e di mediazione la speranza e la pratica di una società più bella.

La sfida del quotidiano

Chi ha partecipato ad uno stage di mediazione umanistica conosce l’intensità di questa esperienza.

Difficile da raccontare, ancora più difficile da dimenticare nelle emozioni in movimento, nei collegamenti con le domande essenziali della vita, nella fatica fisica di sostenere lo spalancarsi di un mondo inaspettato. Quella fatica fisica che è frutto della poca abitudine che abbiamo a stare nel silenzio, a darci il tempo, a masticare la nostra emotività sgangherata. Quella fatica fisica ad esserci, ad essere presenti attraverso la verticalità sulla seggiola e i piedi ancorati alla terra.

Ci vuole un esercizio per imparare ad esserci, non tanto negli stage ma nella vita. Ci vuole un esercizio per stare dritti di fronte alla vita che a tratti sa essere amara, aspra, dura.
Così nel corpo come nella mente e nello spirito: ci vuole un esercizio per ritrovarsi una persona unica, unita in questi pezzi che la modernità ha separato.

E’ sufficiente fare ginnastica dello spirito solo in uno stage all’anno? E tutto il resto del tempo trascorrerlo nel caos, nella fretta, nella mente ingombra, nel corpo consumato e dolente?
Possiamo portare lo stage nella nostra vita cercando ad ogni incontro una dose di ricarica? O è tempo di prendersi la responsabilità di portare la nostra quotidianità negli stage? Di essere testimoni reali, concreti e coerenti di questa proposta?

E’ la decisione profonda che tocca ogni persona che ha incontrato questo metodo, questa maniera di intendere la vita. Puoi evitare di scegliere per un po’, puoi rimandare certo ancora un altro poco, poi la vita sceglie per te.
Mediazione umanistica può essere una parola vuota o piena a seconda di come la accarezziamo, gustiamo, tocchiamo. Dipende da noi.

Incontrare l’uomo

Altra due giorni milanese di mediazione umanistica.
Altra occasione di toccare con mano questa proposta che per tanti risulta al primo approccio strana quanto affascinante.
Forse perché si va ben al di là di una tecnica, attraverso un modello che, usando le parole dei partecipanti, permette di “vivere da dentro” la mediazione, di “conoscerla da un angolo che permette di praticarla con sempre maggiore creatività”.

E il lato strano e affascinante si saldano nella possibilità di incontrare l’uomo, di entrare in contatto con la dimensione più profonda e vera dell’essere umano. Qui risiede buona parte del segreto di questa forma di mediazione, un segreto poco nascosto bensì alla base di tutta la proposta ma comunque all’inizio, nel primo timido e a volte irrazionale approccio, poco consapevole ed evidente.

Per tutte le persone che vengono agli stage appare gradualmente sempre più chiara l’importanza di poter assoporare il contatto con una relazione antica ed essenziale, quella che permette di diventare esseri umani nel nostro inestricabile legame con gli altri, nel nostro inestricabile legame con le ragioni del cuore, nel nostro desiderio di vivere ad un’altra intensità vitale.

E’ stato bello ascoltare da alcuni dei partecipanti che Snodi rappresenta una forma di casa, una casa all’interno della quale poter dare continuità al percorso personale all’interno della mediazione. Come se nelle proposte di questi anni alcuni abbiamo potuto trovare nella mediazione una base buona da integrare nella propria vita sempre di più.
Questo il regalo più bello, quello che ci permette di andare avanti nel nostro percorso di continuo cambiamento, di gioia nell’incontro, di “silenzio partecipato”.