L’equivoco della mediazione umanistica

“Faccio tutto fuorchè fare la mediazione” (J.Morineau).

Nella mediazione umanistica non si offrono tecniche ma solo esperienze di vita, pezzi di consapevolezze messe insieme nel tempo, negli incontri, nella graduale e misteriosa esplorazione di sé.
Certo la tecnica ha la sua importanza, offre un punto di appiglio, un codice al quale riferirsi. E quando entriamo in logiche tanto scomode e lontane dai nostri schemi mentali e dal nostro quotidiano come quelle proposte da questo tipo di mediazione, c’è tanto bisogno di un preciso punto di riferimento che permetta di avere in mano uno strumento per esercitare le nostre parti atrofizzate.

Così come il silenzio esteriore aiuta a trovare quello interiore.
Così come la solidità della montagna fa scoprire la propria forza di pietra.
Così come il contatto con la terra offre la porta alle proprie radici più umili e sacre.

La tecnica è un punto di partenza, non un punto di arrivo. E’ il libro che una volta raccolto in tutte le sue pagine può essere letto più volte e diventare parte di te. E’ l’artificio che permette il cambiamento. Perchè è il cambiamento interiore l’obiettivo, lo sguardo nuovo. Non inseguire procedure.

La mediazione umanistica ha un percorso strano ai nostri occhi moderni; un percorso peculiare, difficile da inquadrare negli schemi di altre discipline come in quelli di quasi omonime discipline, che ne condividono le diciture ma non l’essenza. Che appaiono più comode ma dal sapore più sbiadito.
Forse più di altre proposte la mediazione umanistica è riuscita ad integrare i bisogni profondi dell’uomo: il grido esistenziale di fronte alla morte, l’unione con lo spirituale e con la natura, la ricerca del senso e dei valori più alti che possiamo immaginare e sognare.

Forse è scorretto darle questo nome, chiamarla mediazione perchè è un’altra cosa: è l’arte di vivere pienamente anche quando tutte le stelle del cielo si sono oscurate.

E’ la disciplina interiore del conosci te stesso di Socrate e delle letture profonde e riservate dei testi sacri, qualsiasi sia il tuo sacro.

Manutenzioni

Manutenere è la parola d’ordine, l’azione più richiesta del nostro tempo così bravo a logorare, a consumare, a richiedere l’intervento di un bravo artigiano. Una bottega, un laboratorio di fini tocchi e sapienti accortezze.
Un lavoro che sempre più non possiamo permetterci di delegare ad altri: abbiamo bisogno di farlo proprio, di prenderne possesso, di dargli spazio, agio e dignità.
Forse qui sta il senso più profondo della proposta delle autoformazioni.
Potersi sperimentare certo ma se andiamo all’osso quello che preme è la possibilità di stare sul sentiero, di respirare l’aria che parla di mediazione umanistica o solo di vita umana.
Con tutta la consistenza delle parole che spesso passano in queste occasioni: libertà, verità, autenticità, essere finalmente se stessi.
Qualcuno ci scrive per dirci di sentire il bisogno di ricarica, di concedersi un nuovo momento per rigenerare un’anima che si è oscurata, appesantita, perduta.
La sfida più grande non è imparare un metodo, ma un modo di ritrovarsi, di mantenersi centrati e in cammino.

Incontrare l’uomo

Altra due giorni milanese di mediazione umanistica.
Altra occasione di toccare con mano questa proposta che per tanti risulta al primo approccio strana quanto affascinante.
Forse perché si va ben al di là di una tecnica, attraverso un modello che, usando le parole dei partecipanti, permette di “vivere da dentro” la mediazione, di “conoscerla da un angolo che permette di praticarla con sempre maggiore creatività”.

E il lato strano e affascinante si saldano nella possibilità di incontrare l’uomo, di entrare in contatto con la dimensione più profonda e vera dell’essere umano. Qui risiede buona parte del segreto di questa forma di mediazione, un segreto poco nascosto bensì alla base di tutta la proposta ma comunque all’inizio, nel primo timido e a volte irrazionale approccio, poco consapevole ed evidente.

Per tutte le persone che vengono agli stage appare gradualmente sempre più chiara l’importanza di poter assoporare il contatto con una relazione antica ed essenziale, quella che permette di diventare esseri umani nel nostro inestricabile legame con gli altri, nel nostro inestricabile legame con le ragioni del cuore, nel nostro desiderio di vivere ad un’altra intensità vitale.

E’ stato bello ascoltare da alcuni dei partecipanti che Snodi rappresenta una forma di casa, una casa all’interno della quale poter dare continuità al percorso personale all’interno della mediazione. Come se nelle proposte di questi anni alcuni abbiamo potuto trovare nella mediazione una base buona da integrare nella propria vita sempre di più.
Questo il regalo più bello, quello che ci permette di andare avanti nel nostro percorso di continuo cambiamento, di gioia nell’incontro, di “silenzio partecipato”.