E così il miracolo si è compiuto anche stavolta.
Lo stage di formazione sulla mediazione umanistica ha regalato anche questa volta quella inconfondibile sensazione di benessere, di chiarezza, di apertura di cuore che inseguiamo nella nostra vita.
Quella sensazione, quel senso di forza, centratura che tanto desideriamo quanto schiviamo nel nostro vorticoso tran tran quotidiano.
Come un meccanismo conosciuto i due giorni di formazione si sono saldati l’uno all’altro mettendo in scena quel processo di lenta apertura, fiducia, confronto autentico a quel livello profondamente umano che questa mediazione sa offrire.
C’è stata la confusione iniziale, il caos delle emozioni, l’urlo liberatorio e poi lo squarcio su un modo diverso di percepire la vita, l’altro, i conflitti. Conflitti ancora una volta smascherati nel loro essere paravento di una ricerca che va ben al di là del problema in sé.
E poi ci si abbraccia , ci si saluta sospinti da un’energia nuova, da consapevolezze ritrovata o scoperte per la prima volta.
E poi si riparte il giorno dopo ad affrontare la vita che nel giro di qualche giorno ti riassorbe nei suoi meccanismi, nelle sue ruote che girano veloci, nei suoi ingranaggi spesso troppo rigidi per sapersi e potersi adattare.
E quell’energia faticosamente emersa si spegne, si offusca, slitta in secondo piano relegando l’esperienza appena vissuta in una specie di limbo al quale presto desiderare tornare. Coi nostri acciacchi, coi nostri tentativi andati a vuoto, coi nostri “non so”.
La mediazione umanistica ripropone ogni volta la contraddizione che viviamo quotidianamente tra il desiderio di una connessione con qualcosa di più grande e la frammentazione di noi stessi persi nella modernità. E ci stimola ogni volta a ricercare una maggiore congruenza in questa ricerca che ad un certo punto esigerà un equilibrio, magari anche attraverso un forte cambiamento.
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