Programma SNODI 2023

Care Socie e cari Soci,

riprendiamo le attività con un programma più intenso di proposte, volte a sollecitare un maggiore senso di appartenenza all’associazione e nel contempo potenziare l’interesse per la Mediazione Umanistica, per come ideata e praticata da Jacqueline Morineau fin dal 1983.

Abbiamo predisposto un insieme di iniziative che troverete descritte e calendarizzate nelle pagine che seguono.

Per info e iscrizioni: segreteriasnodi@gmail.com

ATTIVITA' di SNODI

Attività di formazione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

21-22 Gennaio 2023 STAGE CON JACQUELINE MORINEAU

8 Maggio 2021 Incontro con Jacqueline Morineau
8 Maggio 2021 Incontro con Jacqueline Morineau
21-22 Gennaio 2023 Stage con Jacqueline Morineau

Un’occasione imperdibile, uno Stage di due giorni con la fondatrice della Mediazione Umanistica, Jacqueline Morineau.

Un’opportunità di approfondimento delle cause del conflitto e di riflessione sulla profondità dell’animo umano, dalla prospettiva di un percorso unico, come quello della Mediazione.

PER ISCRIZIONI:

segreteriasnodi@gmail.com

 

 

 

Portoni chiusi

Il mediatore all’inizio vuole risolvere. Vuole arrivare al cuore della sofferenza ed estirparla come un veleno.
Desidera toccare la verità dei confliggenti per liberarli e fargli sentire la vita.

Poi il mediatore incontra i confliggenti e i loro limiti. Incontra il loro essere padroni indiscussi delle proprie emozioni, dei propri giardini segreti, spesso tenuti sottochiave agli altri e tante volte anche a se stessi.

Così percorrere i gradini e i passi che conducono alla libertà mostra il limite che il confliggente pone, il suo non essere pronto al salto, non essere disposto ad aprire lo sguardo, a vedere la chiave che apre il portone.

Ogni mediatore arriva fin dove gli è concesso e con umiltà si ferma, accetta i tempi delle persone, li accompagna, li sostiene in questa nuova ricerca che per ognuno è diversa, unica, irripetibile.
E’ un bell’esercizio nella modernità dei manuali per ogni cosa, delle soluzioni facili e veloci.

Sapersi fermare davanti al portone chiuso dell’altro è saper vedere la differenza tra il proprio desiderio di aiutare e il percorso personale che ognuno ha potuto compiere. E’ saper trovare il proprio centro per rispettare la ricerca e i tempi dell’altro.
Non serve a niente sbattere, forzare, spingere.
La chiave del portone non è nelle mani del mediatore.

L’equivoco della mediazione umanistica

“Faccio tutto fuorchè fare la mediazione” (J.Morineau).

Nella mediazione umanistica non si offrono tecniche ma solo esperienze di vita, pezzi di consapevolezze messe insieme nel tempo, negli incontri, nella graduale e misteriosa esplorazione di sé.
Certo la tecnica ha la sua importanza, offre un punto di appiglio, un codice al quale riferirsi. E quando entriamo in logiche tanto scomode e lontane dai nostri schemi mentali e dal nostro quotidiano come quelle proposte da questo tipo di mediazione, c’è tanto bisogno di un preciso punto di riferimento che permetta di avere in mano uno strumento per esercitare le nostre parti atrofizzate.

Così come il silenzio esteriore aiuta a trovare quello interiore.
Così come la solidità della montagna fa scoprire la propria forza di pietra.
Così come il contatto con la terra offre la porta alle proprie radici più umili e sacre.

La tecnica è un punto di partenza, non un punto di arrivo. E’ il libro che una volta raccolto in tutte le sue pagine può essere letto più volte e diventare parte di te. E’ l’artificio che permette il cambiamento. Perchè è il cambiamento interiore l’obiettivo, lo sguardo nuovo. Non inseguire procedure.

La mediazione umanistica ha un percorso strano ai nostri occhi moderni; un percorso peculiare, difficile da inquadrare negli schemi di altre discipline come in quelli di quasi omonime discipline, che ne condividono le diciture ma non l’essenza. Che appaiono più comode ma dal sapore più sbiadito.
Forse più di altre proposte la mediazione umanistica è riuscita ad integrare i bisogni profondi dell’uomo: il grido esistenziale di fronte alla morte, l’unione con lo spirituale e con la natura, la ricerca del senso e dei valori più alti che possiamo immaginare e sognare.

Forse è scorretto darle questo nome, chiamarla mediazione perchè è un’altra cosa: è l’arte di vivere pienamente anche quando tutte le stelle del cielo si sono oscurate.

E’ la disciplina interiore del conosci te stesso di Socrate e delle letture profonde e riservate dei testi sacri, qualsiasi sia il tuo sacro.

Lo spazio per sé

Ci ritroviamo spesso travolti da un quotidiano esigente, da ritmi che fatichiamo a fare nostri, da una realtà della quale perdiamo il senso, da relazioni delle quali non vediamo più la bellezza. Sentiamo chiaramente come questo stato delle cose non ci appartenga come essere umani, che ci appensantisce e ci allontana dagli altri e dai noi stessi, dal nostro essere vivi, pieni.

Forse è per questo che, durante gli incontri di mediazione umanistica, affascina tanto l’atmosfera che si crea fatta di tempi personali e soprattutto di impagabili e riposanti silenzi.
Si ritrova in queste occasioni il contatto con quel tempo giusto che immediatamente riconosciamo, ci rimettiamo in contatto con l’essenziale, facciamo chiarezza nella confusione delle emozioni.

Il gruppo è il grande valore aggiunto alla costruzione di questa atmosfera attraverso la condivisione di esperienze di vita, il contatto e la vicinanza umana, la possibilità di creare sintonia e intimità attraverso i piccoli numeri, fuori dalla tentazione di ingolfarsi di ulteriori parole.
E’ l’occasione di recuperare il nostro centro, ascoltarci, andare al cuore.

La mediazione umanistica è un esercizio quotidiano, un modo di vivere, di essere: è la proposta di portare fuori dai contesti formativi e di mediazione la speranza e la pratica di una società più bella.

Le fatiche della mediazione

Lo diciamo spesso che la mediazione non è un ambito facile in cui cimentarsi.
Non è una professionalità che si possa acquisire sui libri di testo o semplicemente frequentando un corso.
Non garantisce ricchi guadagni a chi aspira a farne il suo lavoro.
Ha un destino difficile questo modo di intendere le relazioni, questa modalità di affrontare i momenti critici della vita. E’ bene che chi si avvicina a questo mondo lo sappia, ne abbia piena consapevolezza.

La mediazione sta vivendo forse oggi una fase delicata.
Da un lato il lavoro di tessitura che tanti hanno compiuto almeno negli ultimi venti anni sta cominciando a dare i suoi frutti: la mediazione è ormai entrata dentro la conoscenza comune, si sta collocando a livello istituzionale e normativo, ha collezionato una buona fetta di esperienza sul campo, compare spesso e volentieri come argomento di congressi ed eventi dagli importanti promotori.
D’altro canto occorre anche guardare alla grande difficoltà che gli enti pubblici stanno affrontando nel sostenere sportelli di mediazione: la crisi economica si fa sentire e purtroppo questo genere di servizi non è ancora riuscito a far cogliere ai cittadini come agli amministratori il suo valore e le sue potenzialità. Forse per il poco tempo a disposizione, forse perchè è difficile operare in questo senso e i problemi che arrivano sul tavolo sono sempre più articolati e non permettono a nessuno di operare da solo.

La crisi morde anche il mondo della formazione e in tutta Italia, così come dalla vicina Francia, colleghi ci raccontano di quanto sia diventato difficile ottenere sufficienti iscritti per poter avviare stage esperienziali o percorsi strutturati.

Per certi versi la mediazione umanistica soffre di più di altre declinazioni della mediazione, forse per il suo proporsi, come abbiamo detto tante volte, secondo una modalità poco vicina ai modelli culturali predominanti che pongono al centro risultati certi e performance efficienti. Chi conosce questa proposta sa che la mediazione umanistica nasce proprio e prima di tutto come progetto di società lontano da questi obiettivi per provare a rimettere al centro la persona, le emozioni, i valori.
Anche questo aspetto non rende facile la vita ai mediatori in alcuni casi additati come fumosi professionisti, in altri essi stessi pieni di dubbi proprio rispetto ad una prospettiva difficile da difendere nel contesto attuale.
Eppure se c’è una cosa che nel tempo ha reso forte questa proposta è proprio l’essersi collocati in modo netto e deciso ai margini della razionalità della testa e dell’efficienza del risultato per offrire alla persona una spazio di lenta ricerca personale, di ascolto e ricomposizione delle diverse parti, di sosta rigenerativa di silenzio e pensiero connesso con la pancia.

Forse è difficile vedere delle prospettive, un punto di approdo per la mediazione, specie quella umanistica; un punto di approdo che vada oltre il prendersi un tempo di autocura con la scusa di imparare a fare il mediatore; un punto di approdo professionale che giustifichi gli investimenti emotivi, economici e familiari.
Probabilmente questo punto non esiste e ci scontriamo con la fatica di accettare l’incertezza degli esiti dei nostri percorsi di crescita personali che prendono spesso e volentieri strade tanto diverse quanto inaspettate e spesso lontane da quella mediazione iniziale. Apparentemente però perchè tanti mediatori lo sono senza esserne pienamente coscienti, esercitano il loro essere mediatori senza dare alle loro azioni questo nome, senza accorgersi che dentro di loro la semina sta dando buoni frutti. Senza accorgersi quanto quel tempo dedicato a sè tramite la mediazione abbia messo in moto cambiamenti densi e sostanziosi da tempo in attesa.

L’obiettivo è grande ed è dentro il cuore di tutti, creare un mondo più bello e più vero, riconnettersi con l’essenza della vita, ritrovare il tempo giusto.
La fatica inevitabile e necessaria.
Buon lavoro mediatori.

Fare mediazione: mondi da scoprire

 

Chi conosce l’ambito della mediazione sa quanto strada è stata fatta in questi anni, passando da un termine poco noto e di nicchia ad un vero e proprio avvio di cambiamento culturale nel modo di affrontare i conflitti.

Parlare di mediazione al singolare è però limitativo di fronte ad una vastità di possibili modi di gestire le controversie in maniera alternativa all’utilizzo del “Ci vediamo in tribunale!”.

C’è un vero e proprio mondo che si apre dietro l’acronimo ADR (Alternative Dispute Resolution) e la mediazione è solo una delle declinazioni possibili con una ricca serie di proposte molto diverse l’una dalle altre.
Vi è infatti una ricca produzione di modelli mediativi che partono da presupposti teorici parecchio distanti e che nel tempo hanno trovato campi di applicazione specifici sulla base delle normative via via emerse ma anche dal lavoro sul campo.

Benchè il campo di studio e applicazione continui ad arricchirsi di contributi (pensiamo al modello trasformativo o a quello della comprensione e a tanti altri ancora), alcuni di questi modelli sono più noti e forse maggiormente praticati.
Parliamo della mediazione civile e commerciale, della mediazione familiare e della mediazione umanistica.
Chiaramente alcuni elementi sono trasversali e li possiamo ritrovare in ogni modello ma forse, anche attraverso un processo di semplificazione, possiamo estrapolare alcuni punti focali.

Si passa da una proposta che ha come focus primario il raggiungimento di un accordo, ad una che mira a ridefinire la relazione tra i confliggenti, ad un’altra che lavora maggiormente sull’aspetto introspettivo del conflitto.

L’aspetto interessante è scoprire quanto ogni proposta abbia la capacità di operare su alcuni aspetti specifici delle controversie, permettendo di ottenere migliori risultati in un caso o nell’altro, come una sorta di cassetta degli attrezzi dalla quale estrarre lo strumento migliore per ogni situazione. Ma la cosa che potrebbe essere interessante, più che stilare una graduatoria di efficacia, è pensare a delle contaminazioni tra modelli, a come queste proposte potrebbero dialogare e rendersi complementari a vicenda.

Una sfida difficile che alcuni mediatori, ma in generale alcuni professionisti anche di altri campi (avvocati, psicologi, consulenti), stanno sperimentando e che richiede una maggiore conoscenza delle basi di tali modelli.

Per questo SNODI APS propone per la prima volta uno stage formativo per entrare in questo confronto mettendo proprio uno affianco all’altro i 3 modelli della mediazione civile/commerciale, familiare e umanistica.
La farà attraverso tre diversi rappresentanti di tali proposte (rispettivamente Maria Rosaria Fascia, Roberta Di Martino e Massimiliano Anzivino) e con uno modalità formativa che permetterà di entrare nel vivo dei presupposti teorici e dei processi attivati da ogni tipologia di mediazione.

Ci saranno quindi momenti di presentazione e analisi dei modelli, simulate di conflitti con tutte e tre le metodologie, discussioni rispetto ai meccanismi osservati e alle possibilità di applicazione e integrazione tra i modelli stessi.

Per partecipare allo stage, in programma a Milano in via Lanzone 36, sabato 29 giugno 2019 dalle 9.30 alle 18.00 contattare l’associazione all’indirizzo e-mail snodiaps@gmail.com.

Aprire le porte

Negli stage di formazione usiamo spesso questa metafora: aprire le porte.

E’ come se la mediazione permettesse di entrare in contatto con un desiderio profondo di trasformazione, di cambiamento che ognuno di noi porta con sé in modo diverso in ogni fase della propria vita.

In questo senso possiamo pensare ai momenti di lavoro con questo strumento, che siano stage di formazione, autoformazioni, sensibilizzazioni o mediazioni poco importa, come uno spazio di cura che permette di posizionare finalmente lo sguardo sui bisogni fondamentali.

Ed è evidente come ci sia una fame di ascolto, di un linguaggio diverso, di tempo.
E’ evidente come ci sia bisogno di entrare in contatto con il nostro bisogno di pace.

Ecco allora che la metafora delle porte aperte prende forma nell’identificare i pesi che portiamo, accettarli e lasciarli andare per rendersi disponibili ad una nuova visione della vita.

Questa immagine ci aiuta a ritrovare la speranza quando ci sentiamo tanto e inevitabilmente sommersi dalle emozioni, dai conflitti, dal prezzo delle nostre scelte.

La mediazione non è una terapia anche se per tanti è un modo di prendersi cura di sé, di curare vecchie ferite e riprendere forza.

E’ piuttosto un modo di abitare la vita, di guardare alle relazioni, alle domande più profonde che l’essere umano da sempre si pone.

E’ una proposta che può far paura perché tanta è la luce che viene dallo spiraglio di quelle porte che si aprono di fronte a noi e ci danno la possibilità di rinascere.

E’ un impegno verso se stessi a guardarsi dritti nell’anima con sincerità e calore.

Scintille

Si torna alla mediazione per tenere viva la scintilla. Intesa come speranza, come forza che permette di restare su un percorso difficile per quanto per molti ormai l’unico possibile.
Una scintilla che richiede di essere rinnovata ogni volta perché anche lo spirito ha bisogno di allenamento, ha bisogno di cura, ha bisogno di impegno.
L’immagine delle scintille accompagna spesso gli incontri di autoformazione, scintille intese come elementi che saldano, mettono insieme e al tempo stesso si diffondono, si espandono tutto intorno, attivano, mettono in moto.
E’ bello pensare così questi momenti di incontro, come occasione di rigenerazione personale, cemento delle relazioni e occasione di divulgazione di questo modo di intendere non tanto la mediazione ma la vita.
Come ogni volta c’è stato bisogno di mettere tanta energia per costruire quell’atmosfera dai contorni solenni che è la forza della mediazione e che permette di attivare con gradualità quel canale nascosto che solo sa parlare delle cose essenziali. E’ il linguaggio del cuore che emerge in queste occasioni, linguaggio che poco ha di razionale e che sempre più spesso risulta essere estremamente contagioso.
Così la ricerca di ognuno può fare un altro passo verso la frase di Nietzche, “ogni giorno divento chi sono”, la traccia essenziale per proseguire il lavoro.

Non c’è niente da capire

La mediazione è sempre una sorpresa e una conferma allo stesso tempo.
Una sorpresa perché ogni nuova esperienza permette di scoprire qualcosa di inaspettato di sé, permette di gettare ponti e relazioni significative con una nuova comunità che si va a creare, permette di tornare a casa con un desiderio rinnovato di mettersi in gioco, condividere, approfondire.

Ed è una conferma perché ogni volta si creano gli stessi sorrisi, le stesse illuminazioni, la stessa pace nel cuore.

Gli appuntamenti formativi di questi anni hanno finora mantenuto le attese con l’aggiunta di un fermento che si va a sviluppare intorno alle diverse comunità incontrate soprattutto quella dei partecipanti al corso che tornano nelle proprie città carichi di tanti stimoli da rielaborare e far fruttificare nei rispettivi territori.

Nei giorni di lavoro si respira una grande energia negli scambi e negli sguardi che guardano lontano.

Per l’associazione questo è uno degli obiettivi più ambiziosi, non tanto formare mediatori, ma condividere e far sperimentare uno spirito di incontro tra le persone e dare il proprio contributo perché questo possa radicarsi sempre più nei diversi territori con i quali Snodi entra in contatto.

Anche perché le occasioni di incontro ci portano spesso a confrontarci con l’inutilità di ricercare tecniche e metodi i quali hanno senso solo se possiamo far nostro il senso della proposta della mediazione ovvero il vivere pienamente il presente lasciando la paura del passato e l’ansia del futuro.

La mediazione ha così poco di razionale da offrire, ma propone un’esperienza che spesso chi vive dice di aver a lungo cercato.

Forse si può sintetizzare questo concetto nelle parole di Jacqueline Morineau:
“Non c’è niente da capire nella mediazione! Lascia venire, lascia vivere!”.